Considerazioni
sulle specificità del teatro
Buon Natale da C.A.S.T., la vera cometa del XXI secolo
Alla fine del 1800 fu inventato il cinematografo. Nel XX secolo esso soppiantò
il teatro: dapprima si limitò a registrarlo, poi lo sostituì e lo superò, sia
dal punto di vista della spettacolarità sia, salvo rari casi, per la qualità
della recitazione e dell'interpretazione.
Per molti decenni gli artisti del teatro, dei quali il cinema faceva a meno, si
ostinarono a difendere la specificità della propria arte; ma solo a parole,
perché, di fatto, lottavano per riappropriarsi di quella parte di specificità
che ormai era definitivamente passata al cinema.
Chiaro segno che non si trattava di una specificità soltanto teatrale.
Forse erano proprio gli artisti del teatro che, più degli altri, ne soffrivano
l'agonia. E sicuramente non solo per ragioni economiche.
Il pubblico andava volentieri a sentire i grandi attori. Forse per poter dire
di averli visti di persona. O forse perché, in certi casi, la presenza era
importante davvero, per quell'eccezionale ricchezza di sfumature, che cineprese
e proiettori non erano ancora in grado di riprodurre. Come certa musica suonata
dal vivo, rispetto a quella registrata.
Tuttavia, il pubblico degli spettacoli teatrali calò enormemente. E gli artisti
del teatro sbagliarono a insistere nella competizione: nel raccontare e
rappresentare storie e vicende e nella spettacolarità di scene e azioni, il
cinema, seppure nella sua bidimensionalità, aveva stravinto. Infatti, la
maggior parte degli spettatori non vedeva perché spendere di più per vedere le
stesse storie proposte dal cinema, ma recitate meno bene e con minore
spettacolarità, solo perché qualcuno affermava che...
"il teatro vale perché è un momento di relazione": relazione con chi? Oppure
che
"il teatro è interazione tra attori e spettatori; l'attore mi parla, ci
'sentiamo'...": l'attore, abbagliato dai fari, non mi vede. Se può vedermi,
quando recita non mi guarda. E se mi sentisse, si infastidirebbe. Le altre
percezioni reciproche, in questo genere di teatro, sono così subliminali da
poter sembrare immaginarie. Oppure che
"il teatro è essere 'presenti' a un atto": come si percepisce quella
'presenza', quali effetti procura in quelle tre o quattro occasioni l'anno?
Oppure che
"il teatro è un evento collettivo, un rito...": il rito di incontrare gli amici
nell'atrio, o quello della pizza dopo. Ma 'durante', in quell'ora di buio
silenzioso, c'è assenza di comunione, come è assente la comunione nel buio
della sala del cinema... c'è più relazione in casa davanti alla tv. O ancora
che
"il teatro ha il sapore di un prodotto artigianale, come il pane cotto nel
forno a legna": ma quale sensibilità, quali raffinati palati richiede il gusto
di quel pane, per essere desiderato? O che
"il teatro è imprevisto e irripetibile": dopo la decima replica si ripete
sempre uguale, e l'unico imprevisto può essere un incidente in scena. O che
"il teatro, rispetto al cinema, è tridimensionale". Vero. Tutto il teatro è
tridimensionale. Anche quello più piatto.
Ci volle parecchio tempo prima che fosse chiaro per tutti che era meglio
rinunciare. Diminuirono le compagnie, in quanto gli attori vecchi sparivano e
non ne nascevano di nuovi. Diminuirono corsi e scuole lasciando numerosi
orfani, ma questi trovarono comunque il modo di andare a spendere i loro soldi
altrove.
Poco per volta ci si scordò che il teatro le specificità le aveva davvero, ed
erano effettivamente la relazione (gli attori agiscono "su commissione" della
comunità, intorno ai suoi temi vivi e presenti, le fanno da specchio e parlano
la sua lingua. Ma ciò accade solo se gli attori fanno parte della comunità, e
se quest'ultima ha una dimensione contenuta) e la comunione (è importante
ascoltare insieme, insieme assistere alla bellezza, capire e crescere, sentirsi
una cosa sola nel ridere, nel piangere, nel ricordare, nel progettare, nella
celebrare il mistero della vita e della morte). Di fatto il cinema questo lo
offre, ma con prodotti immutabili e per insiemi di spettatori estranei gli uni
agli altri. Il teatro invece può nascere e adeguarsi per gruppi differenti di
persone, le quali sono già in relazione tra loro). E queste due specificità ne
rendevano fondamentale una terza: la presenza. Esserci per condividere, magari
per interagire e contribuire.
Erano queste le caratteristiche più profonde, ma più complesse, del teatro.
Infatti sembrava più facile chiamare teatro i drammi, le commedie e i racconti;
ma purtroppo, nel XX secolo il cinema se li portò via.
Gli artisti del teatro non compresero che, nel merito, dovevano rinunciare al
diritto di primogenitura, anche se per le attività teatrali relative alle altre
funzioni restavano indispensabili, dovevano solo accettare il
ridimensionamento, su scala più piccola e in aree circoscritte, del proprio
servizio. Là era necessario davvero un enorme intervento; era urgente e
insostituibile. Infatti, la grande distribuzione cinematografica non riusciva a
colmare il vuoto, che si era creato, di
rituali partecipati e affascinanti
feste impregnate di teatralità diffusa
cerimonieri, presenti e vicini, del ridere o del piangere
momenti augurali, con 'presenze' speciali, messe in scena per benedire o per
esorcizzare
regali così grandi che è possibile farli e riceverli solo in un momento di
immaginazione comune
celebrazioni intorno a quadri viventi
giochi di simulazione
cortei lungo successioni di scene, o contenenti scene itineranti
azioni e immagini vive, rappresentate per meditare
imitazioni per giocare
piccoli momenti di bellezza vivente a dimensione di piccoli gruppi
interventi creativi per mutare in leggenda rappresentata
aneddoti recenti e trasformare in personaggi persone care
appena scomparse
rappresentazioni di leggende locali
strumenti a portata di tutti per amplificare la propria voce e rendere più
comprensibili i messaggi
strumenti per "tradurre" e rendere capillarmente accessibili i
pensieri e i concetti più complessi
rappresentazioni itineranti
camuffamenti e travestimenti
buffonate e rievocazioni
ironia portata in scena su fatti locali e circoscritti
rappresentazioni collettive del male e della morte per esorcizzarli, oppure per
chiamarli, tutti insieme, fratello e sorella
invenzione o reinvenzione e rappresentazione, magari un po' casalinga, dei miti
universali per dare speranza ai bambini e pace ai grandi
racconti all'aperto
serenate, scherzi, dibattiti divertenti e sfide verbali
spiegazioni perfezionate con immagini e metafore
momenti di riconoscimento collettivo, attraverso la rappresentazione delle
caratteristiche comuni
momenti di preghiera, purificazione o invocazione di aiuto
incontri arricchiti da momenti di poesia materializzata in atti
parole nuove in forma di azioni, espresse da qualcuno per qualcuno - pochi alla
volta - per combattere gli ostacoli della comunicazione tra uomini.
Niente di tutto questo: il teatro voleva essere "grande" e "di qualità
professionale", da consumarsi frontalmente, come al cinema, confezionato nella
sua scatola scenica.
Così, se non fosse stato per C.A.S.T., verso la metà del XXI secolo, sarebbe
rimasto appena qualche raro corso di dizione...
Claudio Montagna |